Overtourism ed overcrowding: che cosa indicano, precisamente, questi termini così diffusi a livello giornalistico?
Si tratta delle conseguenze indesiderabili del fenomeno turistico, associate in particolare al sovraffollamento delle destinazioni, che hanno conquistato uno spazio importante nel dibattito pubblico a livello internazionale – con i casi di città di grande attrattiva turistica, come Venezia o Barcellona, come esempi più citati.
Non è un caso che le due più importanti organizzazioni internazionali che si occupano di turismo, l’Organizzazione Mondiale del Turismo –
UNWTO e il World Travel & Tourism Council –
WTTC, abbiano entrambe recentemente commissionato rapporti su questi temi.
Tuttavia, il dibattito sulla sostenibilità economica, sociale ed ambientale di una realtà ad alta crescita come il turismo a livello mondiale è tutt’altro che recente. Gestire le problematiche legate a grandi flussi di turisti, che si muovono in tempi e luoghi ristretti, è tematica complessa che richiede necessariamente un approccio multidimensionale. La
teoria economica tradizionale può dare un contributo in tal senso, ma come vedremo, anche l’economia comportamentale, che abbiamo imparato a conoscere in questa rubrica nel corso di questi mesi, suggerisce soluzioni interessanti.
Overtourism: analisi e soluzioni
Esternalità negative. Nel linguaggio degli economisti, questo è ciò che può provocare la presenza dei turisti nelle destinazioni più sovraffollate. Un’esternalità negativa si ha ogniqualvolta un individuo (in questo caso il turista) provoca con le sue azioni un danno ad altri senza pagarne le conseguenze. Nel caso del turismo,
vittime di tali esternalità sono i residenti, danneggiati dalla congestione dell’infrastrutture, dal rumore, ma anche dall’aumento dei prezzi delle abitazioni); gli altri turisti, che vedono ridotta la qualità della loro esperienza di vacanza; il patrimonio naturale e culturale di una destinazione. In presenza di esternalità negative, l’attività di consumo che risulta dalle scelte individuali è sempre eccessiva da un vista del benessere sociale complessivo.
Per questo motivo, interventi che modifichino i comportamenti degli individui sono giustificati, e possono assumere due forme principali.
Il primo strumento di intervento è quello dei prezzi. Nel caso del sovraffollamento turistico, ad esempio, è possibile immaginare di
tassare l’accesso ad una destinazione, magari limitandosi alle aree più attrattive, o ai momenti dell’anno o del giorno in cui l’afflusso è maggiore. Il secondo strumento è la
regolamentazione diretta del numero di turisti che possono avere accesso a una destinazione, o ad alcune attrattive specifiche. Pregi e limiti di queste soluzioni sono ben note. Ad esempio, l’utilizzo della leva del prezzo per ridurre il numero di turisti, magari solo in certi periodi dell’anno, può sollevare questioni di equità, escludendo dall’esperienza turistica chi non ha un reddito elevato o non può viaggiare al di là dei periodi più tradizionali.
Il contributo dell’economia comportamentale nella gestione dell’Overtourism
L’economia comportamentale può integrare l’analisi economica tradizionale dei fenomeni di overtourism almeno in tre modi:
1. L’economia comportamentale suggerisce che, ancora di più che nell’esperienza effettiva, l’impatto più significativo del sovraffollamento si avrà, per il turista, nel ricordo della vacanza. Secondo
la regola del picco e della fine,
di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo, il ricordo di una vacanza è prevalentemente legato all’intensità del momento più significativo, positivo o negativo che sia. L’esperienza negativa legata all’attrazione che magari ha motivato il viaggio rimarrà quindi particolarmente impressa nella mente del turista.
2. Poiché le conseguenza nefaste dell’
overtourism riguardano principalmente alcune attrazioni di particolare richiamo, una soluzione spesso proposta riguardo lo sviluppo di nuovi itinerari ed attrazioni all’interno della destinazione. L’economia comportamentale suggerisce però come non si tratti solo di sviluppare nuovi luoghi di interesse per il turista, ma anche di
agire sui suoi reference points, in questo caso in termini di attrazioni che il turista si aspetta di vedere quando visita una destinazione. Gli individui, infatti, solitamente caratterizzati da
loss aversion, sono più restii a rinunciare a ciò che si aspettano (sperimentando una “perdita”), di quanto valutino un’esperienza non prevista (sperimentando un “guadagno”).
3. Infine, l’economia comportamentale può ridurre l’impatto negativo della presenza dei turisti (ovvero le loro esternalità), spingendo i turisti verso
comportamenti più rispettosi nei confronti dei residenti e del patrimonio naturale e culturale di una destinazione. Ad esempio, in un lavoro del 2006, un team guidato dallo psicologo Robert Cialdini ha cercato di identificare i messaggi più efficaci nel ridurre il furto di legno da parte dei turisti nel Petrified Forest National Park (Arizona). Gli autori hanno mostrato come un messaggio che si limiti a disapprovare un gesto del genere (“Siete pregati di non sottrarre legno pietrificato dal parco”), è più efficace di un messaggio che ne comunichi la gravità sottolineandone la frequenza (“Molti turisti hanno sottratto dal parco pezzi di legno pietrificato, alterando in tal modo lo stato naturale della foresta”). Quest’ultimo messaggio, infatti, risulta controproducente, dal momento che le persone tendono ad imitare i comportamenti socialmente più diffusi.