Uno dei trend che sta alimentando i consumi fuori casa è il social eating, grazie al quale anche cucine, sale da pranzo, terrazze e giardini privati vengono trasformati in luoghi di ristoro e di condivisione con amici o sconosciuti. Oggi sono 7mila i cuochi social italiani che si danno da fare per organizzare eventi e aprire le porte della propria abitazione agli ospiti, dando così vita all’home restaurant. Un nuovo modo di stare a tavola di cui avevamo già parlato: piccoli ristoranti che chiunque – con un po’ di predisposizione ai fornelli – può aprire presso casa propria.
Si tratta di un mercato da 7,2 milioni di fatturato che coinvolge in tutto il Paese 300mila persone appassionate di cucina, le quali propongono online le proprie ricette ad amici, turisti o curiosi pronti a gustare le pietanze pagando un prezzo ridotto o dividendo l’importo della spesa al supermercato.
La ristorazione casalinga, grazie ad oltre 37mila occasioni di condivisione, ha sfamato nel 2015 300mila avventori per un incasso medio a serata di circa 195 euro, con peculiarità da regione a regione. In Lombardia, Emilia Romagna, Umbria, Marche, Lazio, Puglia e Basilicata l’incasso è spesso superiore ai 200 euro. Al contrario, in Valle d’Aosta, Calabria e Sicilia il “fatturato” medio non supera i 150 euro.
Le piattaforme più note di social eating sono Peoplecooks.com, Eatwith.com e Vizeat.com. Per non parlare di Gnammo.com, una delle community che ha contribuito maggiormente a diffondere il fenomeno su scala nazionale. I suoi amministratori hanno tenuto però a precisare che c’è una notevole differenza tra social eating e home restaurant, data dal fatto che il primo ha carattere sporadico mentre il secondo è imprenditoriale ed è giusto che, in quanto attività sistematica, venga regolamentata con opportune leggi, anche a tutela della salute degli ospiti.
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