Si fa presto a dire
brand. L’asset intangibile più importante di un’azienda, e quindi anche di un hotel, sia esso individuale o appartenente a un gruppo. Ma quanto vale realmente un marchio alberghiero? Come misurarlo e quali sono i parametri che contano?
Stando all’ultima edizione dell’Hunter Hotel Conference tenutosi ad Atlanta nel marzo scorso, evento dedicato ai potenziali acquirenti di strutture alberghiere, i proprietari di un marchio d’
hôtellerie preferiscono ad oggi
rifinanziare le loro strutture piuttosto che venderle. Nuove opportunità provengono inoltre dai piccoli players che settimanalmente entrano nel mercato del turismo; i grandi brand alberghieri, è uscito dal meeting statunitense, dovrebbero considerarli più un esempio che una minaccia, cercando di proporre ai loro clienti esperienze altrettanto uniche e originali. E’ in effetti enorme la rilevanza assunta oggi dalla
brand reputation, ossia dalla percezione di un marchio da parte di
stakeholders e ospiti che solitamente deriva dai siti di recensione online, oltre che dal più circoscritto passaparola offline. Ma oltre a questa, come sostiene una recente pubblicazione della Cornell University in merito al ruolo dell’affiliazione nel valore di un brand alberghiero, gli
indicatori sarebbero meno creativi e più scientifici, vecchio stampo in sostanza: tasso di occupazione, prezzo medio di vendita, ricavo medio per camera disponibile e altri indici variamente noti.
I 50 brand alberghieri più forti a livello mondiale
Brand Finance, società inglese di valutazione aziendale ufficialmente indipendente, lo scorso febbraio ha pubblicato il suo report annuale riguardante la classifica dei 50 brand alberghieri mondiali più profittevoli, spiegandone anche le ragioni del successo.

Nessun italiano all’orizzonte e pochi gli europei in gara.
In testa invece, per il terzo anno consecutivo, il gruppo
Hilton, valutato 6,3 miliardi di dollari e marcato stretto da Marriott; a seguire, nella
top ten, Hyatt, Holiday Inn, Courtyard by Marriott, Shangri-La, Wyndham, Sheraton, Ramada, Hampton Inn.
Senza addentrarsi nell’analisi tecnica dei risultati dello studio, vale la pena soffermarsi sulla metodologia impiegata per stilare la classifica dei brand alberghieri mondiali. La forza di ciascun marchio è calcolata su una scala che va
da 0 a 100 e si basa su fattori come la capacità di instaurare una connessione emotiva con il consumatore, la performance finanziaria e la sostenibilità ambientale. Il risultato costituisce il cosiddetto BSI,
brand strength index. Da questo dato è possibile calcolare l’intervallo all’interno del quale si colloca la royalty sia per i differenti settori di attività – ad esempio
food & beverage o SPA – sia per il futuro, con una previsione sugli introiti di quel marchio specifico combinando storico, analisi
forecast e tasso di crescita economica. Non è comunque detto che il BSI sia l’unico parametro cui riferirsi, o che impiegandone uno differente la classifica rimarrebbe invariata. C’è la capitalizzazione, ad esempio, oppure il
brand rating, dove la lettera D corrisponde al punteggio 0, mentre un 100 si traduce in AAA+. Il
brand value, ovvero il patrimonio di marca, è altresì influenzato dal numero e dalla qualità dei dati sui consumatori raccolti da social network, programmi fedeltà e database condivisi, quando non acquistati da società di profilazione commerciale.
Grande assente dalla lista dei “
Top 50 most valuable Hotel brands” è
Airbnb, lasciato volutamente
fuori. Inizialmente considerato una
tech company e in un secondo momento un aggregatore al pari di Trivago o Kayak, solo ultimamente si è compreso che quota parte del suo target di utenti è la medesima di quella degli alberghi. Il valore del marchio Airbnb è oggi stimato in
5,5 miliardi di dollari, a fronte dei 5,1 di Hilton; chissà che l’anno venturo, in conseguenza anche della volontà della piattaforma dedicata alle case di offrire
boutique hotel e strutture ricettive dall’allure “casalinga”, non si ritrovi nella classifica. Le operazioni di fusione e acquisizione tra brand alberghieri sono d’altronde assai frequenti; inglobare più brand o
sub-brand aumenta il valore complessivo dell’
umbrella-brand, il marchio ombrello.