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Spazi comuni in albergo: idee per sfruttarli al meglio e massimizzarne la resa


D’ora in poi chi vorrà ordinare qualcosa da mangiare nella propria camera dovrà piuttosto indossare i pantaloni e rendersi abbastanza presentabile per recarsi in reception. Là incontrerà altri ospiti che, sprofondati in comode poltrone, staranno sorseggiando cappuccini mentre battono i polpastrelli sui loro tablet. Oppure dovrà optare per l’abbigliamento adeguato a un cocktail bar, dove […]
D’ora in poi chi vorrà ordinare qualcosa da mangiare nella propria camera dovrà piuttosto indossare i pantaloni e rendersi abbastanza presentabile per recarsi in reception. Là incontrerà altri ospiti che, sprofondati in comode poltrone, staranno sorseggiando cappuccini mentre battono i polpastrelli sui loro tablet. Oppure dovrà optare per l’abbigliamento adeguato a un cocktail bar, dove il mixologist di casa starà servendo la sua più recente creazione. Mise che si rivelerà necessaria in particolare per la lounge, che dopo il tramonto si trasformerà in un ristorante con show-cooking. Ma potrebbe capitare anche l’occasione di un pasto di gruppo in prossimità di un distributore automatico, o una sessione di networking accanto alla macchina del ghiaccio collocata nei corridoi che portano alle stanze.

Cosa sta cambiando negli alberghi?

Sono le nuove, e contrastanti, tendenze sugli spazi comuni in albergo: la strategia di costruire camere più grandi e spaziose stride con l’orientamento, in marcata diffusione, di riservare invece tale opzione agli spazi comuni in albergo. Se per decenni le zone pubbliche degli hotel non sono state disegnate per l’aggregazione, da tempo siamo invece entrati nell’era dello sharing (e chi meglio di noi lo sa!), non tanto economico quanto di esperienze. Certo, lobby importanti e spazi di lavoro condivisi hanno un costo opportunità, che è rappresentato dalle dimensioni delle camere per gli ospiti. Quasi prendendo esempio dagli ostelli, gli hotel stanno infatti restringendo la metratura media delle stanze da letto e riducendo i frills all’interno alle mere dotazioni essenziali. Camere più piccole rispetto a suite articolate significano anche più unità abitative indipendenti, mentre uno spazio privato limitato dirotta un maggiore traffico di ospiti, e quindi anche di portafogli, fuori dal proprio alloggio in cerca di cibo, bevande o compagnia.

Gli spazi comuni in albergo secondo i giganti

La camera di un Moxy hotel, il sub-brand del gruppo Marriott dedicato alle nuove generazioni, misura poco più di 17 metri quadrati, mentre quella di una struttura a marchio esclusivamente Marriott si aggira su quasi 33 mq. Nei Tru Hotels della catena Hilton, di cui Giacomo Pini ha parlato anche in fiera TTG, le camere misurano generalmente 10 metri quadrati in meno rispetto agli Hampton Inn appartenenti allo stesso brand, ma la lobby – chiamata The Hive, L’Alveare – prevede 280 m2 disseminati di sedie a dondolo, TV a maxischermo e un open bar per la prima colazione. Spazi comuni in albergo: idee per sfruttarle al meglio e massimizzarne la resaGiganti dell’ospitalità come Hilton, assieme ai loro concorrenti indipendenti, stanno quindi mettendo in secondo piano il servizio in camera e le amenities in essa presenti in favore di lobby ariose e luminose, con vista panoramica e comode sedute di design, nell’intento di attrarre una clientela giovane e social. Negli hotel di città gli spazi comuni in albergo più ambiti sono i tetti degli edifici stessi, dehor con cuscinoni bianchi e vista a 360°, corredati da banconi bar e angoli per barbecue e aperitivi all’aria aperta (abbiamo parlato di roof garden qui). Senza dimenticare che tra le offerte food & beverage all’esterno della camera rientrano anche le vending machines, rigorosamente con snack bio e prodotti vegan, bibite detox e caffè brandizzato.
Le hall degli alberghi sono state per lungo tempo dei semplici luoghi di passaggio, vere e proprie strade deserte lastricate di marmo, ma oggi sono al contrario intensamente trafficate e frequentate.

Noah Silvermann, CDO di Marriott International

Ian Schrager, personaggio di cui abbiamo parlato qui noto soprattutto per essere il cofondatore dello Studio 54 nonché creatore del concept dei boutique hotel, è uno dei molti albergatori che sono riusciti a capitalizzare sul comfort della generazione millennial con spazi open-space, in grado di intersecare un ambiente casalingo con uno lavorativo. La sostituzione delle enormi e inutilizzate scrivanie che prima si trovavano nelle camere con aree di co-working, ricalca la transizione dalle postazioni di lavoro individuali ai dipartimenti barrier-free, o dagli uffici tradizionali ai laptop negli internet caffè.

Inghiottiti dallo smartphone, andate nella torre!

Secondo un’indagine condotta ancora da Hilton, è frequente la richiesta da parte degli ospiti di maggiori spazi di socialità, anche se poi in effetti questi non vengono utilizzati per interagire con il prossimo. Un fenomeno, o meglio un modo di essere, definibile come socially alone: la maggior parte delle persone vive infatti una vita spropositatamente digitale e necessita di essere reintrodotta al pubblico. Spazi comuni in albergo: idee per sfruttarle al meglio e massimizzarne la resaSignificativo a tal proposito è il caso dell’hotel Sir Adam di Amsterdam, collocato in una torre, le cui camere sono ancora più piccine di quelle dei Moxy – meno di 15 m2 -, ma negli spazi comuni in albergo sono state posizionate altalene colorate, un bar 24h e sedute ad anfiteatro. La lobby è chiamata all’italiana Piazza, ed è pensata per aiutare i viaggiatori a sbarazzarsi della coperta di Linus rappresentata dai loro smartphone e da dispositivi elettronici di vario genere. E’ il concetto del “terzo spazio” sviluppato da Sherry Turkle, professoressa di studi sociali presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology) grazie alle sue ricerche sull’interazione tra tecnologia e sociologia: un luogo simile a casa ma che non è casa, al quale non si appartiene ma che si vuole vivere in modo casalingo.


Scritto da Francesca Maffei

Albergatrice di 3° generazione e giornalista di settore, ha corredato la laurea specialistica in Management Internazionale all’Università Cattolica di Milano di una specializzazione in Marketing alla Michigan State University (USA), in Comunicazione Aziendale Integrata a Il Sole 24 Ore Business School di Milano, in Hotel Management all’Università di Les Roches e Glion (CH) e in Revenue Management all’Università di Siviglia (ES). Già vicepresidente di Federalberghi giovani, è presidente GAT – Associazione Albergatori Trentino, consigliere Museo delle Scienze – MUSE di Trento e ApT Madonna di Campiglio, oltre che communication manager per 3Tre Ski World Cup.

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